Articoli di Giovanni Papini

1905


Il Demonio mi disse...
Pubblicato in: Il Campo, anno II, fasc. 47, p. 2
Data: 15 ottobre 1905


pag.2



I.

   In tutta la mia vita ho parlato col Demonio soltanto cinque volte, ma fra tutti quelli che son vivi ora, son certo colui col quale ha più domestichezza e che lo conosce più intimamente. Egli mi tratta — lo affermo con un certo orgoglio che non cerco di nascondere — con una benigna condiscendenza che qualche volta è riuscita fino a commuovermi. Quando sono con lui non faccio che ascoltarlo. Anzi sbaglio lo ascolto e lo guardo. Il Demonio, almeno com'è apparso finora a me, è una figura oltremodo suggestiva e che esce assai dall'ordinario. È molto alto e molto pallido: è ancora abbastanza giovine, ma di quella giovinezza che ha vissuto troppo e ch'è più triste della vecchiaia. Il suo volto bianchissimo e allungato non ha di particolare che la bocca sottile, chiusa e serrata, e una ruga, unica e profondissima, che s'innalza perpendicolarmente fra le sopracciglia e si perde quasi alla radice dei capelli. Non ho mai capito bene di che colore siano i suoi occhi, perchè non li ho mai potuti guardare più di un istante, e non so neppure di che colore siano i suoi capelli, perchè un gran berretto di seta, che non toglie mai, li nasconde completamente. Egli veste decentemente di nero e le sue mani sono sempre inappuntabilmente inguantate.
   È un po' difficile che in questi tempi si decida a venire sulla terra. Un giorno mi confessava con aria di tristezza: Ormai gli uomini non m'interessano più. Si comprano per poco, ma valgono sempre meno. Non hanno nè midollo, nè anima, nè soffio: forse non avrebbero neppure del sangue abbastanza rosso per scrivere il contratto di prammatica.
   Nonostante ciò, quando s'annoia, certi giorni, nel suo paese troppo affollato, egli viene tra noi. Nessuno, in verità, se n'accorge, perchè gli uomini non lo riconoscono più e gli passano accanto, credendolo un loro simile qualsiasi, sorridendo e levandosi il cappello con un'aria di sicurezza che fa paura. Ma io sento sempre la scia del suo passaggio e cerco di godere della sua cara compagnia. La conversazione del Demonio è la più profittevole e gradevole ch'io conosca; è una di quelle che fanno capire il mondo, e sopratutto il mondo, ch'è in noi assai più di tutti i piccoli e i grossi trattati che si potrebbero leggere alla Biblioteca universitaria di Heidelberg.
   Non ho mai trovato, intanto, un essere più indulgente del Diavolo. Egli conosce così perfettamente le nequizie, le ribalderie, le malignità, le sporcizie e bestialità umane, che niente lo meraviglia e lo sdegna. E' pacifico e sorridente come un filosofo antico, e mi sembra più cristiano di tutti i cristiani che sono al mondo. Ha perdonato perfino a Colui che l'ha condannato e cacciato da sè. Quando ne parla, riconosce che l'Onnipotente operò giustamente precipitandolo dal Cielo, giacchè un re non può permettere che ci siano intorno a lui degli esseri troppo superbi e indisciplinati. « Fossi stato al suo posto — mi confessò una volta — avrei condannato il ribelle a una ben più terribile pena. L'avrei costretto all'inazione, all'immobilità. Invece Dio fu generosamente clemente a mio riguardo e mi dette modo di seguire la carriera per la quale ero più adatto. Per quanto oggi mi sia un po' seccato anche di questa, pure non ho troppa ragione di lagnarmi; mi sarei annoiato assai di più nel seno della beatitudine celeste ».
   Egli è animato, anche verso gli uomini, da una certa bonomia un po' ironica, non scompagnata, bisogna dirlo, da un disprezzo convinto che non sempre riesce a dissimulare. Egli è, per suo ufficio, il tormentatore degli uomini; ma la lunga abitudine l'ha reso meno feroce e meno terribile. Non è più l'irsuto e mostruoso demonio del Medioevo, caudato e cornuto, che andava ad accarezzare le vergini nei monasteri ed a suscitare le febbri solitarie dei padri nel deserto. Egli ha visto ormai che la tentazione è perfettamente inutile. Gli uomini peccano da sè, naturalmente e spontaneamente, senza bisogno di eccitamenti e di richiami. Li lascia in pace ed essi corrono a lui come l'acqua va giù per la china. Per ciò egli non li considera più come nemici da conquistare, ma come buoni e fedeli sudditi, disposti a pagare il loro tributo senza farsi pregare. Gli è nata per ciò, in questi ultimi tempi, per noi altri uomini, una certa pietà, che non distrugge il disprezzo, ma lo attenua e lo vela. M'ha persuaso in questa opinione l'ultimo colloquio che ho avuto con lui, nel quale egli m'ha rivelato una cosa che ha un certo interesse per tutti noi uomini che cerchiamo il più su e il più là.

II.

   L'ho incontrato l'ultima volta per una di quelle strade solitarie che sono intorno a Firenze, incassate tra muri grigi, dai quali sporgono rami d'olivo. Camminava leggendo un libriccino legato in nero e rideva fra sè, come lui solo sa ridere. Mi sono accostato e, appena mi ha visto, ha chiuso il libro, m'ha preso il braccio e ha cominciato a dirmi:
   « Io conosco da secoli questo libretto: è la Bibbia, ed io la rileggo di tanto in tanto, quando ho bisogno di rimettermi in buon umore. Quella che leggo ora è in inglese e mi sono accorto che l'inglese si presta mirabilmente all'Antico Testamento, mentre preferisco l'italiano per il Nuovo. Stavo rileggendo ora, per la millesima volta, i primi capitoli della Genesi, e voi capite bene perchè. In essi io ho una parte importante ed io sono qualche volta, oltre che superbo, anche un po' vanitoso. Io mi compiaccio dunque di vedermi sotto le belle spoglie del serpente, avvolto attorno all'albero come nelle vecchie incisioni, sporgendo la mia testa nerastra verso il molle corpo nudo della graziosa Eva. Ma è un vero peccato che la storia della tentazione sia stata così alterata dagli storici servi d'Iddio. Un giorno o l'altro, se avrò tempo, farò certamente un'edizione corretta della Bibbia, e non solo corretta, ma accresciuta, perchè i santi e pii scrittori hanno avuto ribrezzo a scrivere troppo spesso il mio nome e hanno lasciato nell'oscurità alcune delle mie imprese migliori.
   « Tornando alla tentazione, ripeto, mio caro amico, che il racconto biblico è sfrontatamente falsato. Io non ho mai detto questo a nessun uomo, ma credo che voi siete quello al quale si può dire ciò che nessun uomo potrebbe inventare da sè. Io vi confesserò dunque che non fui, nel vero senso della parola, un tentatore e un ingannatore. Quando mi rivolsi a Eva per spingerla ad assaggiare il frutto proibito, io non aveva nessuna intenzione di far cadere gli uomini in disgrazia. Il mio solo proposito era quello di vendicarmi di Jehovah, il quale, come credevo a quei tempi, mi aveva indegnamente trattato. Io volevo, cioè, creargli dei rivali in potenza e perciò non avevo nessuna voglia di mentire quando dicevo ad Eva: mangiate di questi frutti e sarete simili a Dei.
   « Io non dicevo, ve l'assicuro, che la pura e vera verità. Infatti l'albero proibito era quello della sapienza, l'albero della scienza, non solo del bene e del male, come dice l'Ebreo, ma del vero e del falso, del visibile e dell'invisibile, del cielo e della terra, degli animali e degli spiriti. E voi sapete, caro amico, che sapienza è potenza e ch'essere Iddio significa appunto essere sapiente e potente. Perciò io non volevo affatto truffare gli uomini indicando loro il modo di farsi simili a Jehovah. Il mio interesse era che riuscissero, perchè io speravo nel loro aiuto per riconquistare il Cielo.
   « Io vedo dai vostri occhi che vorreste chiedermi qualcosa e so quello che volete chiedermi. Come accadde, cioè, che Adamo ed Eva, benchè gustassero il frutto proibito, non divennero Dei: ed anzi furon cacciati dal loro Dio fuori del loro bel giardino?
   « Vi spiegherò brevemente, se volete, questo apparente mistero. Eva, nella confusione del momento, non s'accorse che i frutti dell'albero eran molti e diversi fra loro e non udì ciò che io le dissi, cioè che non bastava mangiarne pochi, ma bisognava spogliare interamente l'albero, — acquistare cioè tutta la sapienza. Invece, appena n'ebbe mangiato uno, non ebbe la presenza di spirito di cogliere e mangiare rapidamente tutti gli altri, e accadde così che Jehovah ebbe il tempo di accorgersi del pericolo e di rimediarci immediatamente col bando perpetuo. Se Adamo ed Eva avessero mangiati tutti i frutti del meraviglioso albero, il gran Vecchio non avrebbe avuto più il potere di scacciarli fuori del Paradiso. Sarebbero stati Dei contro Dio, e nessun angelo, per quanto fornito di spade fiammeggianti, li avrebbe messi in fuga. Iddio li potè punire perchè non avevano peccato interamente. Il peccato originale fu castigato perchè non fu abbastanza grande. Così accade sempre sulla terra, e non vi ricorderò ancora una volta la favola di Alessandro e del pirata per dimostrarvi come un delitto vien punito quand'è piccolo, ed esaltato e premiato quand'è grande.
   « L'uomo, in quel giorno lontano, perse dunque una magnifica occasione per diventar Dio ed io persi una delle probabilità di ritorno al Cielo. Ma io credo, eccellente amico mio, e ve lo dico, per quanto voi altri uomini non prestate molto credito ai consigli del Demonio, io credo che voi sareste ancora in tempo a finire i frulli dell'albero, sareste ancora in tempo a divenir Dei. Voi non ricordate più il cammino del Paradiso terrestre, ma io so che qualche seme di quell'Albero n'è volato fuori ed è già robusto. Si tratta di cercarlo nelle vostre foreste, educarlo e potarlo finchè non dia ancora una volta i suoi frutti. E allora credete al vostro vecchio amico il Demonio, che dei servitori invidiosi vogliono far credere vostro avversario, — allora voi potrete mangiarne a vostro agio, fino alla sazietà, e la mia promessa sarà compiuta.
   « Vorreste chiedermi qualche indicazione, qualche segno di riconoscimènto di quest'albero e dei suoi frutti? ma non posso dirvi niente. Ordini superiori me lo vietano. Bisogna che lo rintracciate da voi, con pazienza e costanza. E avvertitemi subito appena l'avrete trovato, perchè allora la mia missione sarà finita e forse il buon Dio mi richiamerà a sè ».
   La voce del Demonio, a questo punto, si fece un po' malinconica. La ruga profonda e dritta, che si leva in mezzo alla sua fronte, mi parve più fosca. Dopo essersi soffermato qualche momento, come preso da qualche pensiero, continuò il suo cammino in silenzio, guardando le stelle che cominciavano a tremare nel languido cielo crepuscolare.
   Firenze.

Giovanni Papini


◄ Indice 1905
◄ Cronologia
◄ Il Campo